Io e il Minotauro: per riflettere sulle violenze di genere
di Elisabetta ROSSI
“È lui il tuo amante, troia, bocchinara di psicanalisti”. Se il tuo uomo ti aggredisce con questo genere di epiteti qualche domanda dovresti farla. Non a lui, ma a te stessa. Però non è così facile se sei la vittima. Elena Bibolotti, scrittrice e opinionista, costruisce dialoghi, atmosfere, personaggi che appaiono istantaneamente reali. Ed è brava a spostare sempre un po’ più in su l’asticella della risposta attesa. Ma, soprattutto, è brava a descrivere quello che gli altri non vedono: l’odio che Gimmi, il protagonista maschile del suo ultimo romanzo Io e il Minotauro (Giazira scritture) non cela neanche sotto le mentite spoglie dell’amore. Un vero, puro e maledetto uomo, marito e aguzzino. Che compensa con la violenza una tormentata debolezza interiore. Il dottor Jekyll e Mr. Hyde di Robert Louis Stevenson. Di cui la moglie, Adele, conosce perfettamente le mosse che preludono alle botte. Come quando le cede il passo per poi infliggere un colpo secco al coccige. O le azzanna la testa, tanto da farle sentire il cranio scrocchiare sotto i suoi denti. Fino a drogarla di Roipnol per segregarla, violentarla e vomitarle addosso come in una latrina. Cose da non raccontare. Neanche all’amica più fidata.
Una litania di cui devi osservare i riti: polsi bloccati, penetrazioni senza preliminari, erezioni che non battono l’ostinatezza dello sfintere. Nello scorrere del racconto di una vita apparentemente normale di una coppia di brillanti professionisti, dei loro amici e colleghi, il lettore scopre infinite versioni della tortura. Come l’insalata a base di striscioline di tessuto in cui Gimmi riduce il caftano verde smeraldo della moglie per poi darglielo in pasto. Ma c’è sempre un’alternativa in un menu che si rispetti. Ed esiste un vocabolario abbondante per descrivere certa roba. Si dice dare, menare, picchiare, battere, corcare, bussare, bastonare, sfrantumare. Ed è “battere” il termine che piace più di tutti ad Adele. Perché è ambiguo. Come questa specie di amore di cui lei si è ammalata.
Dopo Pioggia dorata (Giazira scritture) una raccolta di sei “storie amare”, come recita il sottotitolo, perché intrise di dolori, rancori, vendette e miserie ma anche amare come il sapore dell’urina, Elena Bibolotti, con Io e il Minotauro, questa volta conduce il lettore nell’altrove dell’inferno terrestre. Quella parte di noi che Dante descrive nell’incontro con il Minotauro, all’ingresso del VII cerchio in cui sono puniti i violenti contro gli altri. In fondo può capitare a chiunque di ammalarsi di questa forma di amore. Una confessione raccontata senza pentimento, dove arriva anche il lieto fine (guarda caso anche lui violento) ma che spinge a desiderare “game over”.
(recensione tratta da nocturno.it)